Divergent

Divergent

La priorità in questo caso sta nell’immergere lo sguardo, precisamente quello di un adolescente, in un mondo altro in cui un eroe, precisamente un’eroina dai capelli rossi, immediatamente dichiara la sua urgenza di crescita. Come in una Multisala dei tempi nostri, dalle forme aggressive e dai colori diversificati, il gioco potrebbe sostenersi in superficie salvo scricchiolare ad una lettura più coinvolta.

In una Chicago del futuro semi-devastata, che ha smesso di espandersi e si è posta dei confini granitici, gli essere umani hanno deciso di dividersi, mediante un test, in categorie per salvaguardare lo status quo. Ci sono gli Eruditi, vestiti di blu e dediti allo studio, gli Intrepidi, vestiti di nero e responsabili della sicurezza, i Pacifici, che indossano tonalità arancioni coltivando la terra, i Candidi, vestiti di bianco e innamorati del prossimo e infine gli Abneganti, che usano vesti grigie e amministrano lo Stato. Tra quest’ultimi c’è Beatrice, che ha appena compiuto sedici anni raggiungendo, di fatto, il diritto a scegliere la fazione che la rispecchi; tuttavia la ragazza è una Divergente, sorta di mina vagante in un mondo settorializzato, che presto metterà in crisi tutto il sistema.

Il film è il riadattamento del best-seller di Veronica Roth e dovrebbe appassionare le sinapsi di un pubblico giovanile puntando su codici narrativi, estetici ben definiti in dialettica con corpi, volti da gran botteghino. Abbiamo una crescita, che ha bisogno di essere affrontata con una scelta dolorosa e tutta una serie di prove, come in Hunger Games per intenderci, coadiuvate da spazi, dialoghi, personaggi che simulano e alternano derive minacciose, inquadrate come detonatore dei traumi della protagonista, a versanti romantici, strutturati come passaggio di Beatrice dall’età dell’adolescenza a quella della maturità. A prendere lo sguardo e il cuore del giovane fruitore ci potrebbero pensare inoltre la claustrofobia di certe location, dominate da una fotografia scura, in dialettica con spazi high-tech, dalle superfici riflettenti, intensificanti l’enfasi narrativa.

Uno young adult che si presenta con tutti i crismi del genere palesando, tuttavia, sin dall’inizio automatismi che appesantiscono la narrazione risultando prevedibili e incapaci a stupire. Inoltre la recitazione della protagonista risulta in alcuni frangenti precaria, eccessivamente artificiosa. Il problema sta nell’incapacità di far pulsare l’immaginario che si sta raccontando, puntando tutto sulla soluzione invece che sul procedimento. Gli adolescenti potranno tornare a casa e sognare, gli adulti molto meno.

 

 

 

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