Game of Thrones: settima stagione

Game of Thrones: settima stagione

Cade per la prima volta la neve a King’s Landig, lo vediamo mentre Jaime consuma il suo “addio” alla leonessa tanto amata; cade anche la parte est di The Wall e si crea quel varco che porta dritto allo scontro finale dell’ottava stagione. Tra missioni suicide, alleanze repentine, enormi balestre, ricongiungimenti sofferti, amori in campo-controcampo, sete di giustizia e identità svelate ecco che risulta sacrificata la costruzione disforica tanto apprezzata nelle precedenti stagioni e va a rinvigorirsi una spettacolarità visiva di grande impatto che non vuole più spiazzare la fruizione.

È tempo di alleanze in Westeros visto che le due Regine stanno ormai per scontrarsi. Cersei trova l’appoggio del lupo di mare Euron Greyjoy e della sua enorme flotta, senza contare i lingotti d’oro, dei banchieri di Braavos, che serviranno a comprare schiere di mercenari. Poi c’è la bella Daenerys, the mother of Dragons. Quest’ultima ha “abbandonato” definitivamente Essos e nel suo angolo c’è gran parte del cast della serie, da Jon Snow a Tyrion, dagli Immacolati ai Dothraki, da Ser Jorah a Casa Tyrell, senza contare i suoi enormi figli squamati. Intanto Sansa da Winterfell deve gestire le continue macchinazioni di Ditocorto e la sorpresa determinante di riabbracciare Arya e Bran. Il vero detonatore narrativo tuttavia vive nel profondo nord: l’esercito dei Non Morti, comandato dagli Estranei, si avvicina sempre di più e diventa la reale minaccia che porterà la “mappa” di Game of Thrones allo scontro finale.

Questa settima stagione vive, geograficamente parlando, su un quintetto ben definito: Dragonstone, King’s Landing, Winterfell, The Wall e Oldtown. La macchina da presa, guidata dallo storytelling dei due showrunner, deve condensare molte informazioni in poche sequenze e si concentra sul cast, da qui i continui campi-controcampi iper-dialogati che traducono praticamente le intenzioni dei personaggi. La coralità e la narrazione ingannevole tipiche di Game of Thrones vengono meno, aumenta invece un versante classico, edulcorato che trova grande linfa nel plot tra Daenerys e Jon Snow, un’unione strategica che diventerà passione e sorpresa finale. I due personaggi che palesano un entertainment sempre più affascinante sono Cersei Lannister e Arya Stark. La prima, vera madre dell’atmosfera dark che stilizza tutta la settima stagione, è la vera Regina superomista che sa attingere anche a momenti di residuale sensibilità; la seconda, parte con la vendetta del Red Wedding, e arriva a mettere sotto scacco Ditocorto, dimostrando di essere un personaggio-metafora dell’immaginario di Game of Thrones, un personaggio che stabilisce un concreto feeling con i fan della serie.

Ogni stagione ha la sua cifra stilistica all’interno di un orizzonte strutturato e marcato, da qui la rottura del classico climax nella prima stagione, la grande architettura a incastri ricca di sfumature motivazionali della terza stagione, la progressione armonica e ricca di trovate suggestive della sesta stagione. Qui i mondi possibili si sono esauriti, la complessità spaziale è venuta meno, il testo non riesce più ad allontanarsi dall’arco aristotelico tuttavia resta la pulsione seriale, restano le grandi battaglie e i paesaggi che tanto hanno reso grande questa serie.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>