Il Richiamo

Il Richiamo

Prenda ad esempio il calabrone; scienziati di tutto il mondo lo hanno studiato e, considerando il peso e la legge di gravità, lo hanno dichiarato inadatto al volo ma lui non è consapevole di questo e quindi vola. Siamo alla fine del film e la voce off è quella di un luminare della medicina; la macchina da presa inquadra in primo piano Lucia (la Ceccarelli), una donna affascinante che ha appena scoperto di aver sconfitto un cancro mortale. È questo il nocciolo filosofico e tematico de Il richiamo; di fatto, la consapevolezza che la vita non è strutturata per automatismi, come vorrebbe far credere l’incipit, che ci mostra la bella Lea (la Inaudi) alla catena di montaggio per la macellazione dei polli.

Buenos Aires; le due protagoniste non si conoscono: Lucia è sposata, il suo matrimonio è in crisi, e lo capiamo dal montaggio alternato, che mostra poi la frizzante Lucia dopo la routine lavorativa, che si coccola il fidanzato tatuatore e scorrazza con la bicicletta per le vie della città. Tanta la curiosità che notiamo nei suoi occhi dolci che il contrasto con lo sguardo spento di Lucia da subito stuzzica la nostra curiosità stabilendo un percorso “a due”. Se l’una, Lea, vive da fricchettona e fa l’amore incurante che in casa entri la pioggia, l’altra appartiene ad un ceto sociale ben più elevato e lo capiamo dalla sua casa e dai vestiti; peccato solo che il marito pensi, ormai da anni, più alla carriera che alla famiglia. Quest’ultima è diventata un miraggio per Lucia, visto che ha abortito ed è caduta in depressione.

Se all’inizio la narrazione dichiara gli eroi, con la capitale argentina che diventa archetipo del pulsare delle loro sensazioni (bella la trovata del regista Stefano Pasetto di riprendere il traffico facendo interagire immagini in ralenti ad immagini accelerate, quasi fossero metafora di un cuore che batte), lentamente i primissimi piani dei volti, in gioco dialettico tra nitidezza ed immagini sfuocate, avvicinano lentamente l’esistenza delle due. Pasetto distilla l’incontro tra le due donne giocando sull’idea dei contrasti visivi, un cocomero che cade in mille pezzi dalle mani di Lea e la successiva immagine di Lucia che sviene al supermercato alla vista del sangue di una bistecca, fino a farci trasportare dalla poesia della musica di un pianoforte, elemento coagulante dell’incontro: Lucia insegnante che a fatica riprende a vivere e Lea alunna scapestrata non ancora sicura del suo futuro.

Nella parte finale del film, ambientata in Patagonia, le due donne lavorano a sistemare la barca del papà di Lea, ribattezzata Il Richiamo, con le immagini che questa volta non rappresentano più il cuore, viceversa la mente dei protagonisti, con il mare e i larghi spazi a veicolare la tensione drammaturgica. Ed è qui che le due donne comprendo che l’essenza della vita non è inseguire o scappare da un richiamo viceversa bisogna agire, come il calabrone. E le due lo faranno per un’ultima volta ancora prima di salutarci.

Un film poetico, girato con eleganza e sentimento; ci saremmo forse ancor più emozionati se la backstory dei protagonisti, il loro trauma e le loro angosce, fosse stato evocato in maniera più profonda e comprensibile; affidare solo ad un flashback poetico, per Lucia, e una cicatrice sulla mano, per Lea, le inquietudini del passato ha evidenziato un’eccessiva paura del regista nel disorientare lo spettatore.

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