Loro 1 – 2: identificazione e pulsione di morte in Sorrentino

Loro 1 – 2: identificazione e pulsione di morte in Sorrentino

Il cinema di Paolo Sorrentino ci offre la possibilità di affondare il nostro occhio all’interno della storia d’Italia; i comportamenti e la maschera dell’Andreotti del Divo, le speranze frustrate e il lucido disincanto di Gep Gambardella, i fallimenti autodistruttivi di Tony Pisapia, le castrazioni emotive di Titta Di Girolamo sono particelle, pennellate della realtà culturale, sociale e politica del Bel Paese. Paolo Sorrentino si è sempre occupato della varietà, ricchezza della “maschera” italiana, quest’ultima peccaminosa e prepotente, ricercata quanto sfuggente, con uno stile della m.d.p. sublimatosi ad ogni passaggio di pellicola. Mentre Garrone o Virzì si fiondavano su delinquenti, emarginati sociali, scontri generazionali o lotte di classe, ecco che lui ha sempre preferito il personaggio maschile di potere, spesso famoso e controllante un ordine verticistico, capace di metaforizzare un intero mondo franante.

Partendo da questa base, il suo ultimo film, un “doppio film”, sembrerebbe avere il sapore dell’approdo, della conclusione di un percorso o semplicemente di un passaggio di boa raffinato e multiforme. Silvio Berlusconi, il personaggio Silvio Berlusconi, fa parte dunque della ricerca sorrentiniana; in questo caso dobbiamo fare i conti con un esteso assortimento in fatto di stile cinematografico e linguaggio filmico. Il personaggio Berlusconi offrirebbe dunque al regista napoletano un simbolo, un segno determinante per raccontare le costanti, granitiche aspirazioni della maggior parte degli italiani dell’ultimo ventennio sul dato morale e culturale. Ci sono, a riguardo, scarsi dubbi che l’attuale italiano medio non sia stato “attraversato”, e non solo “sfiorato”, dalla maschera berlusconiana e come tale fenomeno abbia creato una palese identificazione biunivoca. Qui si palesa un registro meta-identificativo in cui, se da un lato è evidente lo sfruttamento dei normali processi inconsci del cinematografo, dall’altro si sfrutta la figura storica del politico, imprenditore, imbonitore che più di tutti si è mostrato come performer. Sono questi due livelli di identificazione che si cibano, nei due film, di ambientazioni reali, conosciute, raccontate tuttavia in chiave straniante, di fatto decostruite. I luoghi di Villa Certosa, dove si sviluppa gran parte dell’azione di Loro 2, comprimono, sembrerebbero annullare, ciò che i media hanno, per anni, raccontato e vivisezionato palesando invece un Berlusconi primigenio, “nuovo” e in continuo equilibrio precario. Un Berlusconi che non pulsa vitalismo ma si nutre di quiete e solitudine; un Berlusconi che viene circondato da lacchè interscambiabili che simboleggiano l’ordine costituito; un Berlusconi continuo “governatore” non dell’Italia ma dello spazio filmico. Non c’è limitazione al manierismo di Sorrentino e tutta la solitudine di Loro 2 sembrerebbe vendicarsi dell’enorme spargimento erotico, caotico e vuoto, della prima parte. In questa non abbiamo un architrave narrativo capace di approfondire gli ardori dei personaggi e il tutto risulta essere vittima di un caos in cui prolifera esclusivamente il linguaggio autoriale. Quest’ultimo ci rappresenta, non racconta sia ben chiaro, escort decadenti, fanciulle disinibite pronte a tutto, vecchi patinati e bavosi, segretarie schizzate e annoiate o figure semplicemente evocate dai dialoghi. Potremmo dunque trovarci di fronte ad una tela del Bosch, in cui al luciferino e al senso di colpa si sostituiscono la debacle morale e l’orgia di vuoto tipiche dell’edonismo berlusconiano. Anche la televisione, il quarto potere in generale, c’è ma risulta preda dello sfondo e di un personaggio come Mike Bongiorno, colui il quale è stato licenziato senza preavviso e dunque attende frustrato una telefonata da Lui.

Preoccupato, o semplicemente stanco dell’enorme esegesi mediale realizzatasi sul personaggio, ecco che Sorrentino rigenera la figura di Berlusconi, con una sua visione personale in cui è chiara l’analisi e la continua riflessione prettamente stilistica. A tal proposito, essendo molto forte, sul piano dell’identificazione, lo stretto rapporto dello spettatore con il retrobottega storico, ecco che risulta complicato, per non dire farraginoso, il percorso che porterebbe alla sintesi autoriale, di fatto utilizzare la maschera per raccontare la pulsione di morte e la continua lotta sotterranea dell’intelletto con essa; l’utilizzo del personaggio Berlusconi risulta geniale ma il risultato, l’approdo sorrentiniano per intenderci, non è organico, rigoroso come in altre pellicole. Le tre parti tematiche, dall’affresco all’identificazione passando per la maschera, dovrebbero coordinarsi meglio e staccarsi dal personaggio Berlusconi, nonostante quest’ultimo non sia, giustamente, mai vicino alla macchietta, all’imitazione. Permane quindi un senso, paradossalmente, di vuoto narrativo di contro alla grande forza stilistica e tecnica. In conclusione risulterebbe complicata l’unione, la normale dialettica tra la forza del linguaggio e la capacità narrativa di prendere posizione di contro ad un personaggio storico determinante, ingombrante e difficile da “maneggiare”. Una “maschera” che identifica ma che, con maggiore coraggio, si sarebbe potuta tramutare anche in sottotesto critico, riflessivo.

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