Philofiction 1.2: Game of Thrones tra Machiavelli e l’Iliade

Philofiction 1.2: Game of Thrones tra Machiavelli e l’Iliade

Immaginate di essere in palestra per migliorare le vostre prestazioni e le fasce muscolari: dovreste utilizzare la tecnica delle forzate e delle negative, quest’ultime con l’aiuto di un vostro amico. Ecco che le linee di Game of Thrones diventano le negative che aiutano lo studente a comprendere Machiavelli. Partendo da tale assunto originale, il filosofo e insegnante Tommaso Ariemma ci racconta la sua esperienza con gli alunni del Liceo di Ischia. Utilizzando la tecnica dell’esempio semplice di Platone, Ariemma racconta di aver appassionato i suoi alunni allo studio di uno tra i più grandi filosofi, utilizzando brevi sequenze della pluripremiata serie televisiva americana. Una serie che, cibandosi continuamente di riferimenti storici, filosofici e citazionistici, propone tuttavia una precisa e fluida analisi dei concetti espressi da Machiavelli ne “Il Principe”. Nell’esemplificare e forzare, mediante le sequenze, il concetto di politica autonoma staccata dalla morale, Ariemma segnala una miriade di personaggi della serie speculari al suo discorso: dal confronto cinico e spietato tra Tiwyn Lannister e suo figlio Jaime Lannister, che prende in esame l’idea di un tempo ideale che non può essere governato ma solo progettato, alla dialettica tra la Strage di Senigallia ordita da Cesare Borgia (raccontata da Machiavelli nel 1503 e con preciso riferimento a Oliverotto da Fermo e Vitellozzo ) e il red wedding della terza stagione. In questo modo la complessità di un testo seriale fa da apripista al testo filosofico in chiave didattica, di fatto Game of Thrones diventa il maggiordomo teorico e visivo che scardina le porte di Machiavelli e prepara gli alunni ad uno studio appassionato.

Diversa, ma altrettanto affascinante, la lettura della studiosa di Etica della cura Monia Andreani che, partendo dal saggio sull’Iliade della scrittrice, filosofa francese Simone Weil, ci racconta Game of Thrones come un mondo in perenne guerra, in cui il fantasy, anche quando alberga il “fuori”, entra in dialettica e condiziona il “dentro”. Come Achille brucia dodici uomini sulla pira di Patroclo così l’uomo occidentale porta i fiori sulla tomba del proprio caro, in una cultura dove l’eccesso di violenza, declinato in tutte le sue forme, ha come unico obiettivo la morte, la distruzione. Come in Game of Thrones ci si interfaccia con una continua instabilità di potere causante morte e violenza , così gli Achei, dopo la prima vittoria in battaglia e la possibilità di recuperare Elena, decidono senza ripensamenti di continuare la guerra per distruggere completamente Troia. Un giorno in questo modo diventeranno dieci anni palesando una propensione alla violenza acquisitiva perenne che condiziona tutto l’immaginario della serie televisiva e che dimostra, sul concetto di guerra, il ribaltamento di approccio e analisi che Foucault apparecchia su Clausewitz. Su questa base, i corpi e la vulnerabilità degli stessi fanno riferimento a un doppio binario: maschilità e femminilità. Se nelle prime stagioni della serie la donna, ispirandosi a Hobbes, segue pedissequamente il suo patto di sudditanza con l’uomo attraverso il matrimonio e la decisione di avere figli, ecco che con la fluidità seriale questo rapporto si incrina e le donne riescono ad imporre il loro potere sovrano naturale coordinando spesso i continui rovesciamenti politici mediante la diplomazia.

Due letture differenti ma complementari, che scavano nella cultura occidentale e nei maestri della filosofia trovando continui riferimenti con la narrazione seriale. Tutto ciò diventa metafora dell’operazione di Popsophia che ritrova in Philofiction un suo braccio ricco e carico di significazione, come lo sguardo di Eddard Stark sul patibolo.

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