(Serie TV) True Detective seconda stagione –  primo episodio

(Serie TV) True Detective seconda stagione – primo episodio

Come gli Dei guerrieri, anche qui abbiamo lance ed egide ben visibili che contrastano i Giganti: l’egida di uno stupro che arriva dal passato, l’egida di una rabbia recondita pronta ad esplodere contro il mondo intero, l’egida di un’impotenza sessuale che è linfa autodistruttiva, l’egida di una forza corrotta in continuo equilibrio precario. Le quattro corazze scorticate si ritrovano nel grande teatro illuminato a festa e un cadavere si offre come primo detonatore narrativo.

Ci eravamo lasciati circa un anno fa con i due detective Rust Cohle (Matthew McConaughey) e Marty Hart (Woody Harrelson) immersi nel paesaggio sinistro, mistico della Lousiana e intenti nella ricerca di un serial killer. Il primo ci aveva colpito per il suo terribile destino, gli occhi furenti, l’anima sepolcrale, il volto ossuto e la riflessione esistenziale carica di filosofia. Il secondo invece per la sua esistenza ricolma di contraddizioni, per il suo agire fuori controllo, per i suoi segreti e per le sue meschine dipendenze. Il montaggio li aveva uniti e separati dentro un microcosmo fatto di violenze, segreti, totem, estasi, padroni, schiavi, esaltazioni, espiazioni, tormenti in cui l’esibizione dei caratteri dei due protagonisti era barra di controllo e depistaggio continuo nell’orizzonte narrativo. Con la nuova, seconda stagione di True Detective tutto sembrerebbe cambiare, non fosse altro per la scelta di affidare le chiavi drammaturgiche non più a due figure, viceversa a quattro. Rispettivamente abbiamo tre detective e un imprenditore, che si trovano ad agire e reagire in uno spazio geografico completamente differente; di fatto rispetto alle terre e ai campi di grano emergono le industrie e i grattacieli, agli enormi alberi e ai rami che si intrecciano ecco che piombano in quadro le arterie stradali che si perdono all’orizzonte, alle roulottes e alle chiese abbandonate ecco che si materializzano spazi lussuosi o case ricamanti uno spazio inesorabilmente urbano. Siamo solo al primo episodio ma lo scarto è già ben evidente.

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Los Angeles. Il detective Ray Velcoro (Colin Farrell) presta servizio nella contea di Vinci e spesso intrattiene relazioni criminali con l’imprenditore Frank Semyon (Vince Vaughn). Quest’ultimo sembrerebbe averlo aiutato, in passato, a scoprire colui il quale stuprò la moglie. A nove mesi da quel tragico episodio nacque il paffutello Chad, che Ray considera, nonostante non abbia richiesto il test di paternità, suo figlio a tutti gli effetti. Mentre Semyon sta per chiudere un appalto pubblico da miliardi di dollari ed è in attesa dell’arrivo in città dell’oligarca Osip Agronov, ecco che a pochi chilometri di distanza, sulla costa, la detective Anne Bezzarides (Rachel McAdams) compie una retata in una casa scoprendo che la sorella Athena ha iniziato a vendere il proprio corpo su internet. Si sparge la voce della scomparsa di Ben Caspere, il manager pubblico che dovrebbe chiudere l’affare di Semyon, e il bandolo della matassa sarà sciolto dal poliziotto Paul Woodrugh (Taylor Kitsch).

Questo primo episodio apparecchia tutti gli ingredienti per fidelizzare il pubblico con una nuova fauna narrativa e drammaturgica. Tutti e quattro i protagonisti hanno, come novelli Atlante, un peso enorme da sostenere sin dalle prime sequenze. Velcoro ha il trauma dello stupro della moglie, Semyon ha bisogno di chiudere un affare a tutti i costi, la Bezzarides è arrabbiata con il mondo intero e con i suoi familiari, Woodrugh è un reduce di guerra impotente. Come aggancio alla prima stagione, sul versante dell’immaginario, abbiamo il riferimento ai totem che custodiscono significati ancestrali, come quello che osserviamo nell’Istituto Panticapaem dove conduce un’indagine la Bezzarides e il bar, simulacro della cultura folk americana, che, con una fotografia scura, diventa teatro di incontro e programmazione tra Velcoro e Semyon. L’ottima scrittura di Pizzolato abbandona il linguaggio riflessivo, filosofico e anche criptico di alcuni passaggi della prima stagione per donarci un fluido più legato alle azioni in quadro, da qui il cinismo precario di Semyon, le frustate veloci e atone di Woodrugh, l’elettrocardiogramma continuo di Velcoro e l’indifferenza della Bezzarides. La campagna è dunque divenuta città padrona di interessi in cui la forza e il gioco di potere determinano la vittoria o la morte. In questo alcuni sguardi della compagna di Semyon e alcune citazioni determinano l’affresco da grande impero urbano. Gli stacchi aumentano, la fotografia si fa più ariosa ma è solo un depistaggio perché poi le tinte scure, non fosche sia ben chiaro, puntualmente rimbalzano e puntellano le sequenze. Il contesto umano brulica e non si accorge dei traumi, non è più sospettoso e narcotizzato, ma avvolge i protagonisti e li segue alternando momenti di dolcezza, come la cameriera del bar che serve whisky a Velcoro, a attimi di forte contrasto, come quando la Bezzarides vieve cacciata da un Casino. I tre simboli della legge si ritrovano alla fine nello stesso posto come a voler sentenziare l’inizio di un nuovo percorso, un altro percorso che non può più rifarsi alla prima stagione, di fatto aprendosi ad un nuovo mondo e a nuovi lacci narrativi.

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