(Serie TV) 1992 – terzo e quarto episodio

(Serie TV) 1992 – terzo e quarto episodio

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Mentre al Palazzo di Giustizia di Milano Di Pietro viene affiancato da Gherardo Colombo, magistrato che ha incancrenito i movimenti di Licio Gelli e della P2, le parabole dei protagonisti iniziano a prendere delle vie in cui è percepibile solo il bivio. Pastore, sempre più ossessionato dalle sorti dell’imprenditore Mainaghi, sembrerebbe ottenere la sua vendetta; Notte, con lo spettro di Dell’Utri che lo “segue” sul posto di lavoro, viene contattato da una voce al telefono e ricattato ripetutamente; la Castello, sempre più in balìa degli eventi, vede frantumarsi il sogno di lavorare in tv visto che il suo uomo, Mainaghi, è appena finito agli arresti; la figlia di quest’ultimo, Bibi, fluttua nella situazione; Bosco invece prende possesso del suo posto in Parlamento ma è l’ultima ruota del Carroccio.

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Giovanni Falcone è stato assassinato e gli equilibri dell’Italia intera stanno per collassare. Leo si ritrova a dover fare i conti con il proprio passato mentre nella sua azienda, Publitalia, si crea un ufficio comunicazione per capire con quale soggetto politico danzare nel futuro prossimo. Intanto le indagini di Di Pietro, Colombo e dell’ultimo arrivato Davigo, iniziano a dare risultati e morti: imprenditori e politici suicidi. Pastore, in balìa dei sensi di colpa e della sua malattia segreta, arranca sul posto di lavoro mentre Bosco diventa il delfino di un vecchio democristiano che inizia a fargli comprendere che la politica non è un affare di palazzo, viceversa un valzer di rappresentanze e legami.

 

La giostra di 1992 inizia a prendere il suo ritmo e si premura di non seguire totalmente il linguaggio e lo sfondo dei primi due episodi. Se allora era fondamentale, per invogliare lo spettatore a immergersi nella serialità, predisporre piccole omeomerie vintage legate al 1992, ecco che ora l’angolo inizia a stringersi volutamente sulle traiettorie dei personaggi. Di storico viene privilegiato tutto ciò che appartiene alla fase dello stragismo e anche la musica diventa autonoma, di fatto cardiaca e cupa, e sganciata dall’amarcord iniziale. Il focus predilige tre protagonisti: c’è Notte, di fatto il suo trauma, il ricatto, il suo rapporto con il poliziotto Venturi, le sue linee verticali con la Castello e Dell’Utri; c’è Pastore, emaciato e turbato dalla guerra continua a Mainaghi e da un legame platonico, anche sulla traccia sonora, con Bibi; c’è infine Bosco, che inizia a ribaltare il suo status e diventa metafora della piovra politica. L’atteggiamento registico di Gagliardi inizia a prendere posizione e soprattutto nel quarto episodio diventano fondamentali i dettagli sui volti stanchi, febbricitanti, in preda a spasmi in cui si fionda l’elemento simbolico del suicidio, che serve a reiterare la confusione, il caos tra buoni e cattivi. Le sequenze vivono spesso, e classicamente, lo schema dell’establishing shot, con Milano e Roma che si rimbalzano e apparecchiano allo spettatore l’ingresso degli eroi. In questo valzer emerge anche la sensibilità del personaggio della Castello, che in questi due episodi mantiene la sua forte carica erotica mentre il suo corpo nudo viene risparmiato, essendo la nostra, al momento, sempre più vittima e sola. Poco approfondito risulta il personaggio di Venturi, che ha una forte linea drammaturgica e dovrebbe manifestarsi maggiormente nei prossimi episodi. Ci saremmo inoltre aspettati un maggiore coefficiente di rischio emotivo sul finale del quarto episodio ma, nel complesso, la serie mantiene le premesse positive dell’inizio e non resta che attendere la settimana prossima per il quinto e sesto episodio.

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