Benvenuto Presidente

Benvenuto Presidente

Nella nostra bella penisola italiana possiamo riscontrare che ormai si ragiona, come direbbe Freccero, in termini di teledemocrazia e videocrazia. I mantra del video certificano la dittatura della maggioranza e la politica è costretta a rincorrerli per imitare modelli comunicativi e strategie di consenso. Su questa base, l’universo politico che rimbalza agli occhi dell’opinione pubblica italiana diventa necessariamente immaginario, che gioca comodamente a presentare più che il processo, la cultura per raggiungere un risultato, direttamente la “soluzione”, gettando un velo su assunzione di responsabilità e trasparenza. E il cinema nostro come racconta tutto ciò?

In questo caso, e la responsabilità è del regista televisivo Riccardo Milani, l’occhio della macchina da presa fa piombare nell’immaginario (nostro) della politica (nostra) un perfetto sconosciuto che però porta in dote un nome richiamante al valore collettivo: Giuseppe Garibaldi. Tre parlamentari corrotti (quello con il pizzetto, il bello e il ruspante), decidono di votare il simbolo del Risorgimento come Presidente della Repubblica per rallentare tutto il sistema politico italiano. Tuttavia non hanno fatto i conti con un bibliotecario, ottimista cronico e con l’hobby della pesca, che vive in un paesino sperduto e si chiama proprio così. Essendo sano e capace di intendere e di volere, viene chiamato in fretta e furia a prendere in mano il Quirinale.

A questo punto, e grazie al talento marionettistico e al rigore recitativo di Claudio Bisio, il nostro Garibaldi piomba in un mondo che non “si contamina” con l’esterno e, grazie ai ritmi e ai toni della commedia profusi da Milani e dallo sceneggiatore Fabio Bonifacci, cerca di riempire di senso la missione dello Stato instaurando un particolare rapporto tra lui e il popolo. In questa mission il Capo di Stato Garibaldi è sostenuto dall’adiuvante Janis, bella e precisa Vice Segretario generale, dal rassicurante Morelli, addetto all’informazione, e dal Segretario generale; quest’ultimo in realtà continuamente a rischio infarto per la deriva della Repubblica.

Ma di deriva non si tratta, perché il nostro, con bastone e carota, sembra imboccare la strada giusta, farsi volere bene dal popolo con trovate a effetto (e qui andiamo verso destra …) oppure mandare a quel paese le cerimonie istituzionali e mangiarsi la pizza alla marijuana cantando “Il comandante Che Guevara” con la delegazione cinese (e qui andiamo verso sinistra …). Il personaggio è mosso da buoni propositi, tende a setacciare la nervatura dei problemi della macchina statale ed è continuamente sotto tiro dei tre sopra citati.

I toni da commedia però lasciano il campo a una seconda parte troppo incentrata, e qui torniamo all’introduzione, sulle gag disarticolate l’una dall’altra, soprattutto con la sequenza dei poteri forti o l’innamoramento tra Giuseppe e Janis, a colpi di funambolici e comici amplessi. Alla fine del film si ha come il sentore che Milani, seppur in buonafede, abbia inavvertitamente cercato l’effetto diretto, da “maggioranza di consensi”, più che ultimare una tela partita bene. Un film vittima del suo stesso linguaggio in cerca di “soluzioni”.

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