Si presenta con la sua rinomata eleganza e la sua figura sindonica, bizantina il maestro Salvatores durante la conferenza stampa alla Cittadella del Cinema; il nostro racconta dei suoi prossimi progetti e del secondo capitolo di quel Ragazzo invisibile che tanti riscontri positivi ha avuto. Citando Derrida e il concetto di rievocazione, Platone e il concetto di realtà, i Lumière e l’aggancio a un reale che non c’è più, l’incontro con i giornalisti si è rivelato un momento di riflessione sul nostro contemporaneo.
Cosa vivrà il protagonista nel nuovo Il ragazzo invisibile – seconda generazione?
Michele/Ludovico ha modificato il suo percorso, è come il bimbo di Conrad che, mentre gioca beato con gli amichetti, vede rotolare la palla nel bosco. Qui incontra il buio, l’oscurità e tornando a giocare non è più lo stesso, ha superato una precisa fase della propria vita.
Che struttura stilistica dobbiamo aspettarci?
Rispetto al primo capitolo abbiamo meno linearità; abbiamo abbandonato leggermente lo storytelling per seguire maggiormente le emozioni: tutto ciò che accade lo percepiamo mediante l’emozionalità del ragazzo.
Quali passaggi fondamentali ci sono tra Nirvana e Il Ragazzo Invisibile?
Ormai sono passati vent’anni dall’uscita di Nirvana; all’epoca le persone non sapevano quasi nulla di un virus elettronico, non conoscevano le potenzialità della rete e non erano circondate dalla tecnologia che abbiamo ora. Il mio approccio alla fantascienza invece non è cambiato, mi viene naturale. In questo senso mi vengono in mente le parole di Antonio Gramsci: per capire la realtà non basta la ragione. Io la penso così e sono affascinato su dove inizi o finisca la realtà.
Quali tecniche avete utilizzato per questo secondo capitolo?
Ci sono stati centinaia di interventi digitali. Per la prima volta abbiamo utilizzato una tecnica per ricreare completamente, in 3D, gli attori e la scenografia. Il cinema sta cambiando e spero riesca a salvaguardare l’essenziale umanità che lo contraddistingue.
Con quali sentimenti dovrà fare i conti il tuo supereroe?
Nel primo film il protagonista scopriva di essere invisibile portandosi dietro la metafora sul nostro presente. Ora invece dovrà affrontare un percorso più complicato, di fatto capire come utilizzare il suo superpotere.
Definisci il ruolo del regista cinematografico nella nostra epoca
Il regista può raccontare qualsiasi cosa ma non deve dire bugie, deve avere la responsabilità di dire la verità, di essere sincero. Wim Wenders a riguardo ci parla della macchina fotografica, dove abbiamo un obiettivo posto verso l’esterno e un obiettivo posto verso l’interno. Solo se entrano in relazione si realizza la foto. Ecco il regista deve coniugare la sua sensibilità con la sincerità.
Resta una dimensione epica in Il ragazzo invisibile – seconda generazione?
Assolutamente si. Paradossalmente il film, che dura un’ora e trenta, ha un ritmo molto serrato, ed è più spettacolare ma anche più intimo. È un oggetto particolare, di cui sono innamorato e che debbo ancora studiare a dovere.
Come affronti il tuo lavoro?
Alla vigilia dei settant’anni sto scoprendo una grande fascinazione nello scompaginare le classiche regole dello storytelling; amo pensare che il mio film sia come un trip, citando gli anni Settanta.