MoliseCinema2015: intervista a Melissa Anna Bartolini

MoliseCinema2015: intervista a Melissa Anna Bartolini

Bella, con un corpo sindonico e un volto sbarazzino, e capace di colpire varie isole del cinema italiano: da quello d’autore dei fratelli Taviani alla commedia di Roan Johnson, passando per il linguaggio del web con i The Pills. Melissa Anna Bartolini da Firenze sta vivendo, a ventotto anni, il suo momento d’oro e si gode il tutto con un atteggiamento sereno mantenendo un senso di leggerezza, frivolezza positiva che si sposa al meglio con l’eleganza del portamento e la vivacità dello sguardo. Nel film di Johnson Fino a qui tutto bene interpreta il personaggio di Francesca, una studentessa che vive gli ultimi giorni di “vita universitaria” con un bel gruppo di amici storici. Eccola che si racconta tra cinema, cartoni animati e circuiti festivalieri.

In alcune tue interviste ho notato una tua volontà di non essere incastonata nella fissità del ruolo di attrice …

Diciamo che come persona non vorrei esaurirmi, nella vita di tutti i giorni, all’interno della mia maschera però è il mio lavoro e una parte importante della mia esperienza. In questo momento sono molto concentrata nel fare questo mestiere però non so se in futuro sarà realmente così. Mi piace molto la fotografia.

Perché nel nostro cinema sui ruoli in generale, ma in particolare su quelli femminili, è difficile attuare un cambio generazionale? Perché lavorano sempre gli stessi attori?

Il nostro cinema si è arroccato in un determinato parco attori, di fatto un patrimonio che difficilmente viene cambiato, riconfigurato. È davvero difficile farsi spazio in una rosa di una trentina di attori che, diciamo la verità, rimbalzano all’interno dei film e del sistema produttivo in generale soprattutto nella commedia. È una fortezza inespugnabile.

Però tu stai riuscendo a farti spazio no?

Ho iniziato con questo film di Roan Johnson, è stata la mia prima esperienza nella commedia anche se in questo caso parliamo di un film indipendente. È nato e si è sviluppato in maniera anomala, Roan ha avuto la libertà di scegliere il cast e tutta la squadra che ha lavorato poi sul set. Di solito le produzioni impongono ai registi e agli sceneggiatori volti e maestranze.

La tua formazione cinematografica in tenera età?

Mi è piaciuto sin da bambina il nostro cinema, andavo sempre in sala anche perché ero spinta da un forte desiderio di emulazione e immedesimazione. Poi con il tempo ho avuto un vero e proprio cortocircuito vedendo Faces di John Cassavetes. In quel momento ho lasciato il mio status di spettatrice inconsapevole e sono entrata nella coscienza. Avevo circa diciannove anni.

I tuoi cartoni animati preferiti?

Vedevo sempre i cartoni della Disney, ma non avevo una grande passione. Però posso dirti che ero appassionata di “Jem and the Holograms”, una storia molto stupidina in cui una ragazza aveva degli orecchini con dei superpoteri e quando li azionava diventata una cantante pop rock con colori scintillanti che passavano dal rosa al giallo. Credo fosse il cartone più antifemminista della storia.

Perché hai detto che i trentenni di oggi non hanno vissuto un “prima”?

Con “prima” intendo un problema di stampo culturale dettato dal modo di educare dei nostri genitori. Quest’ultimi hanno sempre cercato, a differenza per esempio dei nostri nonni che erano molto più pratici, di creare un mondo molto protetto e ovattato. Finita l’età in cui sei incanalato in un percorso di studi netto e riconoscibile, ti ritrovi a confrontarti con la realtà e molto spesso sei sprovvisto di molte sicurezze ingigantitesi durante l’adolescenza. In questo senso il nostro “prima” è stato vissuto, su un versante generale, in modo sbagliato, forse bisognava gestire la cosa in maniera differente e non su un versante eccessivamente schematico.

Cosa può offrire ancora di originale un contenitore come i festival di cinema?

Dal mio punto di vista i Festival più interessanti sono quelli in cui puoi vedere film che avranno difficoltà ad essere distribuiti nel tuo paese. Film, cortometraggi, documentari indipendenti che hanno una forte difficoltà a circuitare normalmente. Questo lo dico mettendomi in una posizione di spettatrice e penso al Festival di Torino dove il novanta per cento dei film che vedi non arriveranno nelle sale; questo porta poi ovviamente una ricchezza culturale. Dal punto di vista della mia professione i festival sono l’occasione per approfondire e mantenere contatti con realtà esterne e MoliseCinema è stata una lieta scoperta. È la vicinanza alla conoscenza l’elemento che ancora da forza a un Festival di cinema.

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